Voler fare un aperitivo anche nelle città più “pronte” all’accoglienza turistica può essere un’esperienza sbalorditivamente negativa… Vediamo perché…
Non sono bastati tripadvisor, social, twitter, food blogger, nonne col telefonino, tag super utilizzati quali “foodporn” e recensioni di qualsiasi genere. In provincia di Palermo un aperitivo, ma anche una cena, devono sempre essere motivo di mortificazione e noncuranza del cliente.
Caso vuole, “bottana ra miseria”, che il cliente sia molto spesso pure io.
Più o meno la storia è sempre uguale: fai un giro, è quasi ora di cena e decidi di fermarti in un bar più o meno noto della zona. In questo caso Cefalù.
Apro una parentesi.
Cefalù ad agosto, per la nostra provincia, è come Taormina per i Messinesi o Cortina per i Veneti.
Comunque sia, dicevo, l’obiettivo è abbastanza semplice: ristorarsi prima di rientrare a casa.
Il problema invece è sempre lo stesso: la gestione delle attività.
Teoricamente, tutte attrezzate e organizzate per accogliere al meglio il cliente. Nella pratica invece, sembra siano in gara per non farlo tornare più.
Non farò i nomi delle attività in questione, non è il mio compito e manco mia intenzione far cattiva pubblicità. Con questo post invece vorrei aprire un dibattito sul tema “accoglienza del cliente”. Ovviamente, sono salve dalla questione, tutte quelle imprese che ben lavorano e figurano sul territorio e che, come diciamo noi a Palermo: “ca sa sientinu”. Meno invece, per quelli “ca sa sientunu sucata”. Loro, in genere, sono esattamente quelli che dovrebbero prestare più attenzione.
Ma torniamo ai fatti.
Dopo un pomeriggio di mare, con alcuni amici, decidiamo appunto, di fermarci in un rinomato bar di Cefalù. Appena arrivati prendiamo posto in uno dei tavoli liberi sulla terrazza esterna del locale. Qualche minuto dopo, una cortese dipendente, ci invita ad alzarci poiché il tavolo risulta essere prenotato, pur non avendo alcuna indicazione evidente al mondo esterno.
Un po’ seccati, ci spostiamo su quello affianco da cui altri clienti s’erano appena alzati per andar via.
Mentre ci stavamo per sedere, una coppia di ragazzi del luogo, si avventa sul tavolo, con fare prepotente, per soffiarci lo spazio.
Poco prima infatti, li avevo visti intrattenersi con la cameriera, seppur in amicizia, per la nostra stessa ragione: un altro tavolo riservato in anonimo.
A differenza nostra però, avevano deciso di andar via scendendo le scale d’ingresso. Solo allora s’erano accorti del tavolo attorno a cui ci stavamo accomodando e, invertendo la rotta a tutto gas, come se noi fossimo assenti, pretendendo anche e forse, il diritto di prelazione di cittadinanza. “Prima di tutto i Cefalutani!”
Presa un po’ alla sprovvista dalla mossa degli “amici” ci propone, su invito del ragazzo che ormai aveva anche deciso di sedersi, di condividere il “nostro” tavolino.
All’insistenza della cameriera e all’invadenza del ragazzo, ormai deciso a non andarsene, rispondo con un secco “no”. Prendo lo zaino con fare infastidito per andar via e a quel punto il colpo di genio dell’impiegata: “guardate che dentro abbiamo altri tavoli, potete accomodarvi li”.
Me lo dice sorridendo e col block notes pronto per le ordinazioni degli amici.
Quindi pure la più classica delle beffe. Comunque salutiamo e andiamo via.
E intendiamoci, il tavolo condiviso non mi spaventa, mi da fastidio la dinamica.
E vabbè…
Senza perdere l’entusiasmo decidiamo di trasferirci in un altro locale. Alla fine Cefalù è grande, l’offerta infinita.
Anche questo è un bar, un pò più affollato del precedente, di quelli dove fai lo scontrino prima di consumare.
Scegliamo dunque un’arancina accompagnato da un Crodino. Un aperitivo tutto da consumare in piedi.
“Stavota un mi futtinu”, pensai tra me e me.
continua… (qui)