Clichè, un linguaggio elementare, spesso sgrammaticato e volgare. Una “fotografia” da film porno di bassa qualità; l’idraulico che viene a casa, il panettiere e lo sfilatino, la “casalingua”, per citare Fantozzi.
Un mondo stereotipato, di frasi fatte e banalità senza fine. Vuoto, perso nello squallore di una dinamica che si ripete senza senso e che probabilmente ripetono a catena di montaggio a centinaia di donne e presunte tali alla quale richiedono “amicizia”.
Conversazioni che cominciano e finiscono quasi tutte allo stesso modo, con un pallido tentativo di conquista in principio, che poi tracima nella penosa eloquenza volgare.
Cosa pensano delle donne è pressoché chiaro, cosa pensano di suscitare un po’ meno. Mi rifiuto di pensare che ci possano essere persone che accettino confronti di tale abbandono morale.
E non posso credere che questa industria della banalità, possa aver in qualche modo creato un “business” credibile e concreto del sesso.
Non posso pensare che uomini e donne, riescano ad incontrarsi nel piacere, con un vocabolario così misero e povero di “appeal”.
E oggi, alla luce di quanto ho letto e partecipato, sono sempre più convinto di quanto sia necessario un ripensamento delle formule sociali di questo paese.
Penso ad esempio all’educazione sessuale, al valore della parola, alla cultura più in generale. Necessitiamo di un ripensamento del significato del termine “coppia” e delle funzioni della “famiglia”.
Questa esperienza ha lasciato in me una profonda crisi individuale, una mancanza anche dal punto di vista sociologico sulla comprensione dell’essere umano, anzi, forse con più precisione, degli strumenti di cognizione.
Lascio questa mia testimonianza affinché questo possa essere un primo passo, un documento, per riflettere, discutere in modo un po’ più concreto del baratro dell’animo umano e degli angoli bui della nostra coscienza.