Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai, sempre pietre in faccia prenderai. (Pietre – Antoine)
In questi giorni è andata alla ribalta, in qualche modo, una questione che da tempo sostengo nell’indifferenza più totale (qui la notizia). Quando si parla infatti di bullismo, non viene mai menzionato quello nei confronti dei grassi.
Un bullismo sottovoce, sussurrato, ignorato, benché più diffuso più di qualsiasi altra forma di violenza psicologica celebrata dalla nostra società. Un abuso alla portata di tutti, praticato come uno sport della parola anche dai più “distinti” signori contemporanei.
Non sono a conoscenza di statistiche o di ricerche sul fenomeno, ma ne sono testimone diretto. Della materia, mi ritengo profondo, anzi largo (per far contento qualche simpatico mattacchione), conoscitore.
Mario Adinolfi è un invotabile, ma una ragione ce l’ha: contro i grassi vige una brutalità incontrollata ed intollerabile.
Ovunque vai c’è sempre qualcuno pronto a farti una battuta del cazzo, ovviamente vecchia e strasentita, per poi, una volta gelatasi l’atmosfera, lanciarsi in timide ed imbarazzate scuse:“Sto sgherzando eh. Non è che si offende eh. Solo per fare na battuta”.
Non mi offendo per carità, non potrei mai offendermi con un cretino.
La banalità è un male incurabile, più della mancanza di tatto o del buon senso. Dice bene Mario Adinolfi, dopo un po’ non ci si fa più caso. Si supera con l’ironia. Per noi subire l’imbecillità è diventato un dovere; principalmente quello di restare a galla in una società che trova divertente qualsiasi “sofferenza” indossata da altri.
Una decina di anni fa, forse dodici, scrissi un post in cui lamentavo ironicamente il disagio che si prova ad attraversare una delle porte automatiche delle poste o delle banche. Beh, è ancora così, un disagio, una discriminazione portata avanti con successo da buontemponi sempre sul pezzo, della banalità.
“Sto sgherzando eh. Non è che si offende eh. Solo per fare na battuta” ce lo sentiremo ripetere per l’eternità, perché a nessuno interessa sentirsi più uguale dei “diversi”.
Figuriamoci dei ciccioni.